• 100: In: AIDS in Italia 20 anni dopo
             Ed.  Masson 2004 (329-335)

TUMORI SOLIDI
Emanuela VACCHER, Umberto TIRELLI
Divisione di Oncologia Medica A, Centro di Riferimento Oncologico di Aviano

INTRODUZIONE
Nell’era HAART la patologia neoplastica rimane una delle principali cause di morbidità e mortalità per i soggetti con infezione da HIV.
La diffusione della nuova terapia antiretrovirale ha determinato una riduzione dell’incidenza del sarcoma di Kaposi (KS) e dei linfomi non-Hodgkin (NHL), mentre apparentemente non ha modificato l’epidemiologia del carcinoma della cervice, la cui incidenza è stabile nel tempo.
Nell’era per-HAART, gli studi di “linkage” fra registri AIDS e registri tumori hanno documentato un eccesso di rischio per alcune neoplasie ematologiche e solide non diagnostiche per AIDS. Il rischio di comparsa del linfoma di Hodgkin (HD) è risultato aumentato in modo uniforme in tutti i paesi industrializzati, con un rischio relativo (RR) compreso fra 7 e 16, mentre l’eccesso di rischio delle neoplasie solide ha presentato una distribuzione geografica eterogenea (tabella 1a e 1b). Negli Stati Uniti è stato documentato un eccesso di rischio per l’angiosarcoma (RR 36.7), il mieloma multiplo (RR 4.1), i tumori cerebrali (RR 3.5) ed il seminoma del testicolo (RR 2.9). In Australia il rischio neoplastico è risultato aumentato in modo significativo per il carcinoma dell’ano (RR 37.1), il mieloma multiplo (RR 4.1), le leucemie acute (RR 3.4) ed il carcinoma delle labbra (RR 2.3). Nel sud Europa, i dati di Serraino evidenziano fra gli uomini un eccesso di rischio dei carcinomi delle ghiandole salivari, con un tasso di incidenza standardizzato per sesso ed età (SIR) di 33.6 e fra i maschi tossicodipendenti, ma non fra gli omosessuali, un eccesso di rischio dell’epatocarcinoma (SIR 24) e del cancro del polmone (SIR 6.2). In Italia, l’incrocio dei dati di 12.140 casi di AIDS con i dati dei 19 registri tumori italiani, ha confermato l’aumento di rischio dell’HD (SIR 16) e del carcinoma del polmone (SIR 2.4) e ha documentato per la prima volta anche nel nostro paese un aumento del rischio del carcinoma anale in entrambi i sessi (nei maschi SIR 35, nelle femmine SIR 28) ed in tutti i gruppi a rischio esaminati. Come nelle altre serie, lo studio italiano ha rilevato un aumento delle leucemie acute (SIR 5.3) e dei tumori cerebrali primitivi (SIR 4.4), ma il dato per queste ultime due neoplasie merita di essere valutato con cautela, perché manca una revisione anatomo-patologica centralizzata. Infatti, le leucemie acute e i tumori cerebrali primitivi, come pure l’angiosarcoma della serie americana, pongono dei problemi di diagnosi differenziale con neoplasie più frequenti nel setting HIV, rispettivamente i NHL leucemizzati, il NHL primitivo cerebrale e il KS.
Con l’eccezione dell’HD e del carcinoma in situ della cervice, l’associazione di HIV con le neoplasie ematologiche non diagnostiche e con i tumori solidi rimane molto controversa. In tutte le serie, il rischio di HD aumentata infatti in modo costante dal periodo pre- a quello post-AIDS, un intervallo di tempo considerato da tutti gli Autori un marker-surrogato di peggioramento del danno immunitario da HIV. Per gli altri tumori, l’aumento del rischio neoplastico durante l’evoluzione dell’infezione da HIV è assente o è limitato a piccole serie. I tumori anogenitali, l’epatocarcinoma ed il carcinoma del polmone si sviluppano dopo una aumentata esposizione a noti cancerogeni, rispettivamente l’infezione da human papillomavirus (HPV), l’infezione da virus dell’epatite B (HBV) e C (HCV), l’abuso di tabacco e di alcool. Poiché la prevalenza di questi cancerogeni è molto alta nei soggetti infettati da HIV, il ruolo patogenetico di HIV nello sviluppo dei tumori solidi rimane di difficile determinazione in assenza di adeguati studi caso-controllo. L’eterogeneità geografica della maggior parte dei tumori solidi rispecchia in ultima analisi la diversa distribuzione dei gruppi a rischio per AIDS nei paesi industrializzati.
Fino ad oggi non vi sono dati sull’impatto dell’HAART sull’epidemiologia dei tumori non-diagnostici per AIDS. Il miglioramento dell’attesa di vita determinato dalla terapia antiretrovirale di combinazione e l’aumento dell’età dei soggetti HIV-positivi, sono probabilmente destinati a favorire in questa popolazione ad alto rischio oncogeno, lo sviluppo di tumori a lunga latenza di comparsa, quali i tumori epiteliali indotti da carcinogeni ambientali.
L’attivazione di programmi di sorveglianza e di prevenzione rappresenta quindi una delle principali sfide dell’oncologia-HIV dell’era HAART.
In questo capitolo verranno descritte le caratteristiche epidemiologiche, clinico-patologiche e la terapia delle più frequenti neoplasie solide associate all’infezione da HIV nel nostro paese, quali le neoplasie della cervice e dell’ano, l’epatocarcinoma ed i tumori del polmone.

NEOPLASIE DELLA CERVICE UTERINA
NEOPLASIE INTRAEPITELIALI
I ceppi di HPV ad alto rischio oncogeno giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi del carcinoma della cervice uterina della popolazione generale. Nelle donne con infezione da HIV, l’infezione da HPV rappresenta una prevalenza significativamente maggiore a quella della popolazione generale della stessa fascia di età ed area geografica (60% vs 30%, p<0.0001), con un rischio che aumenta progressivamente con l’aggravarsi del deficit immunitario. Nella serie di Palefsky, comprendente 1.778 donne HIV-positive e 500 HIV-negative, il rischio di contrarre l’infezione da HPV è stimato 10 volte superiore a quello della popolazione generale, in presenza di una conta di CD4<200/L. Nelle donne con CD4>200/L il rischio dipende fondamentalmente dalla carica virale di HIV, oscillando tra 3.1 e 5.8 nelle donne con viremia HIV rispettivamente < o > 20.000 cp/mL (tabella 2). Caratteristiche peculiari della popolazione HIV-positiva sono l’elevato tasso di persistenza dell’infezione da HPV, un fattore critico per la cancerogenesi virale, l’elevata prevalenza di ceppi virali ad alto rischio oncogeno e l’elevata prevalenza di infezioni con ceppi virali multipli. Nelle donne della popolazione generale l’infezione da HPV è in genere transitoria, con una durata mediana di circa 8 mesi (range 7-10 mesi) e con un tasso di persistenza ad 1 e 3 anni molto basso e pari rispettivamente a 35% e 15%. Nelle donne HIV-positive il tasso di persistenza dell’HPV ad 1 e 3 anni dal contagio è compreso tra 46-70% e 41-62% ed è influenzato dalla conta dei CD4 e dall’età della paziente.
Parallelamente all’elevata prevalenza di HPV, le neoplasie intraepiteliali della cervice uterina (CIN), definite anche “squamous intraepithelial lesions” (SIL), si manifestano con maggiore prevalenza e gravità nelle donne infettate dall’HIV rispetto alle donne sieronegative. In una metaanalisi di 15 studi pubblicati tra il 1986 ed il 1999, Mandelblatt ha documentato che il rischio di sviluppare una CIN nelle donne con coinfezione HIV-HPV è 8.8 volte superiore (95% Intervallo di Confidenza [IC] 6.3-12.5) a quello della popolazione generale. In un recente studio caso-controllo su 653 donne, di cui 328 HIV-positive, i fattori di rischio per lo sviluppo di una CIN sono risultati l’infezione transitoria di HPV (RR 5.5, 95% IC 1.4-21.9), la persistenza dell’infezione virale, con un RR di 11.6 (95% IC 2.7-50.7) per i ceppi 16, 18 e di 7.6 (95% IC 1.9-30.3) per gli altri ceppi di HPV, l’infezione da HIV (RR 3.2, 95% CI 1.7-6.1) e l’età < 37 anni (RR 2.1, 95% IC 2.7-50.7). Fra le donne HIV-positive il rischio e la gravità della CIN correlano con l’entità del deficit immunitario e con la carica virale di HIV. Fra le 51.760 donne HIV-positive arruolate da Frisch nel “National Multicenter AIDS Cancer Match Registry Study”, esaminate in un arco di tempo di 10 anni, il rischio di carcinoma in situ è aumentato di 4.6 volte nel periodo post-AIDS rispetto al periodo pre-AIDS. Un dato quest’ultimo che testimonia una relazione diretta fra rischio di displasia grave e severità del deficit immunitario.
Le lesioni cervicali benigne normalmente contengono l’HPV 6 o 11 in forma episomale, le lesioni neoplastiche e preneoplastiche i sottotipi 16 e 18 e meno frequentemente i sottotipi 31, 33 e 35, sia in forma episomale che integrata, spesso come infezione mista. L’integrazione del DNA-HPV nel genoma cellulare, evento molto raro nelle lesioni precancerose (circa il 3%) e frequente nelle lesioni neoplastiche (>85%), altera i geni E1 ed E2 di HPV con conseguente aumentata espressione delle proteine oncogene E6 ed E7 del virus. Le proteine oncogene di HPV alterano la regolazione del ciclo cellulare, diminuiscono la capacità di riparazione del DNA ed aumentano la proliferazione cellulare mediante inattivazione degli antioncogeni p53 e Rb. 
Studi preliminari documenterebbero nei soggetti immunodepressi una maggiore prevalenza dei processi di integrazione del DNA-HPV ed una minore risposta immunitaria verso le proteine E6 ed E7, rispetto ai soggetti immunocompetenti. Caratteristica peculiare della patogenesi delle neoplasie cervicali HIV-correlate è un’interazione molecolare fra HIV e HPV, documentata negli studi in vitro. La validità biologica di una tale interazione è data dall’osservazione che l’HIV non infetta solo le cellule del sistema ematopoietico esprimenti il recettore CD4, ma anche tipi cellulari coinfettabili dall’HPV o che possono interagire con gli epiteli da esso infettati (cellule di Langherans, cellule M e cellule dendritiche della mucosa rettale e genitale). Studi in vitro hanno dimostrato la capacità della proteina tat di HIV di aumentare l’espressione delle proteine oncogene E6 ed E7 di HPV mediante la stimolazione della regione regolatrice LCR. Questo dato suggerisce che la proteina tat svolge un effetto additivo/sinergico nel processo di induzione/progressione neoplastica indotta dall’HPV. 
L’impatto dell’HAART sull’epidemiologia e sulla storia naturale della CIN è per il momento molto contraddittorio. Tutti gli studi concordano però nell’evidenziare che l’HAART non diminuisce il tasso di persistenza di HPV né previene la comparsa di nuove infezioni del tratto anogenitale.
La maggior parte degli studi controllati ha dimostrato che nella popolazione HIV-positiva l’esame citologico mediante Papanicolau (Pap) test presenta la stessa sensibilità e specificità documentata nella popolazione generale. Il vantaggio fornito dalla colposcopia nella diagnostica delle displasie è di contro molto modesto ed è gravato da costi elevati. In base a questi dati, i Centers of Disease Control (CDC) di Atlanta hanno formulato delle linee guida di diagnosi precoce che prevedono un Pap test annuale per tutte le donne i cui due esami citologici iniziali, eseguiti con intervallo semestrale, sono risultati negativi. In presenza di cellule atipiche di incerto significato (ASCUS) o di franca displasia diventa obbligatoria la colposcopia con biopsia dell’area sospetta.
Caratteristica peculiare della CIN associata ad HIV è l’elevata frequenza di lesioni estese, la multifocalità nell’ambito del basso tratto genitale e l’elevata prevalenza di recidive. Dopo terapie ablative o escissionali il tasso di recidiva oscilla fra il 40 e il 60%, con il massimo valore per le pazienti con grave deficit immunitario e/o elevata carica virale di HIV. Nelle displasie gravi, la terapia adiuvante con 5-fluorouracile (5-FU) topico, somministrato con ritmo bisettimanale per 6 mesi dopo ablazione o escissione, riduce dal 47 al 28% il tasso di recidive locali valutato a 18 mesi di follow-up. Degno di nota è il dato che le donne trattate con HAART presentano un tempo libero da recidiva significativamente più lungo rispetto alle donne non trattate. Nella terapia delle displasie lievi ed in particolare dei condilomi anogenitali, risultati incoraggianti sono ottenuti con la somministrazione topica di Imiquidom, un nuovo modificatore della risposta biologica, somministrato in soluzione cremosa al 5%.

CARCINOMA INVASIVO DELLA CERVICE UTERINA 
L’aumento di incidenza delle displasie del tratto anogenitale inferiore nelle donne HIV-positive ha indotto nel 1993 i CDC ad includere il carcinoma invasivo della cervice uterina (CIC) fra le patologie diagnostiche per AIDS. L’inclusione della forma invasiva, di cui inizialmente non era stato documentato nessun aumento di incidenza, è stata motivata essenzialmente dalla necessità di stimolare l’attivazione di programmi di diagnosi precoce fra le donne HIV-positive e di superare le difficoltà di diagnosi differenziale fra displasia e flogosi, un reperto frequente in questa popolazione. 
Il CIC rappresenta la neoplasia maligna più frequente nelle donne affette da AIDS sia in Europa (2.3% dei casi) che negli Stati Uniti (2.1%), con una prevalenza quasi triplicata nelle donne tossicodipendenti rispetto alle eterosessuali. Un eccesso di rischio per CIC è stato documentato per la prima volta nel Sud Europa, da Serraino e collaboratori nello studio di linkage fra registri AIDS e registri tumori. Globalmente il SIR è risultato di 12.8 sull’intera popolazione di donne affette da AIDS, con un massimo di 16.7 nelle tossicodipendenti ed un minimo di 6.7 nelle eterosessuali. Di recente, lo studio italiano di linkage ha documentato un eccesso di rischio di 22.8 rispetto alla popolazione generale, con un SIR di 24 per le tossicodipendenti e di 19 per le eterosessuali (tabella 3). Questo dato potrebbe suggerire che abitudini sessuali ad alto rischio, potenzialmente più diffuse fra le tossicodipendenti (ad esempio la prostituzione) e/o una carenza di programmi di diagnosi precoce, adattati alle tossicodipendenti, possa favorire l’insorgenza del CIC in tale gruppo di popolazione. Di recente, Frisch e collaboratori hanno evidenziato un eccesso di rischio per CIC anche fra le donne americane, con un RR di 5.4 (95% IC 3.9-7.2) ed una distribuzione omogenea fra le varie fasce di età. Contrariamente agli altri tumori diagnostici per AIDS, l’aumento del rischio per la forma invasiva rimane però stabile dal periodo pre- al post-AIDS, suggerendo l’assenza di una correlazione con il deficit immunitario di HIV. 
L’esiguità dei dati riportati in letteratura non permette di definire in dettaglio la storia naturale ed i fattori prognostici del CIC-HIV. In una serie americana, il 71% delle donne erano asintomatiche per HIV alla diagnosi del carcinoma e la conta media dei CD4 (312/L) non era particolarmente compromessa. Stadi avanzati di malattia (III-IV secondo la classificazione FIGO) erano presenti nel 79% delle pazienti. Dopo terapia standard, chirurgia (CH) + radioterapia (RT) o RT + chemioterapia (CT), la percentuale di recidive è risultata molto elevata (88%) nel primo anno di follow-up. La sopravvivenza mediana dell’intero gruppo è risultata di soli 12 mesi. Nella casistica del Gruppo Italiano Cooperativo AIDS e Tumori (GICAT) il 58% delle pazienti si presentava invece in stadio iniziale di malattia e nella maggior parte dei casi (55%) si trattava di forme microinvasive. Inoltre fra le pazienti con malattia avanzata, nessuna di esse aveva malattia metastatica. Anche in questa serie la conta mediana dei CD4 (455/L) non documentava un deficit immunitario severo e la distribuzione dei CD4 era simile negli stati iniziali ed avanzati di malattia. Dopo CH (53%), RT (24%) o terapia combinata (CH-RT, CH-CT) (24%), la percentuale di recidive è risultata del 20% e la percentuale di infezioni opportunistiche gravi del 62% nel follow-up. La sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale a 3 anni è risultata rispettivamente dell’82% e del 58% (tabella 4).
L’esiguità dei dati esistenti non permette di formulare delle linee guida di terapia adattata all’HIV, la strategia terapeutica deve pertanto essere simile a quella della popolazione generale e deve prevedere l’associazione con l’HAART e la profilassi delle più comuni infezioni opportunistiche.

NEOPLASIE ANALI
La patogenesi e la storia naturale delle neoplasie anali è molto simile a quelle delle neoplasie cervicali. Entrambe sono associate ad HPV, entrambe insorgono nella zona di transizione fra epitelio colonnare ed epitelio squamoso e la loro storia naturale è caratterizzata da un graduale passaggio da una displasia lieve ad una displasia media-grave fino al carcinoma invasivo. La prevalenza dell’infezione da HPV nel distretto anale dei soggetti HIV-positivi oscilla fra il 26 e il 93%, con il massimo valore per gli omosessuali che praticano un rapporto anale recettivo e globalmente il rischio di infezione è stimato dalle 3 alle 5 volte superiore a quello della popolazione generale. Come nell’infezione cervicale il tasso di persistenza di HPV nei soggetti con coinfezione HPV-HIV si correla con la severità del deficit immunitario. Nelle lesioni gravi e nel carcinoma invasivo, il ceppo virale più frequente è l’HPV 16, il quale si associa a ceppi multipli di HPV in oltre il 70% dei casi. 
Parallelamente all’infezione da HPV, il rischio di sviluppare una neoplasia intraepiteliale (AIN) è stimata nei maschi e nelle femmine rispettivamente 5.6 (95% IC 3.0-10.5) e 3.2 (95% IC 1.3-7.5) volte superiore a quello della popolazione generale e la sua entità si correla inversamente con la conta dei CD4. Caratteristica dei soggetti HIV-positivi dell’era pre-HAART è l’alto tasso di progressione da displasia lieve a displasia grave, stimato del 15% a 2 anni di follow-up in un gruppo di soggetti il cui esame citologico iniziale era negativo e del 49% a 4 anni in un gruppo comprendente anche i soggetti con ASCUS o lesioni displastiche lievi. Fattori di rischio per la progressione sono risultati in tutte le serie la coinfezione con ceppi multipli, il tasso di persistenza virale ed, in una serie, ceppi di HPV 16 mutato.
L’impatto dell’HAART sulla storia naturale delle neoplasie anali non è ancora chiaro. Dopo 6 mesi di HAART apparentemente non sembra esserci alcuna influenza, ma la brevità del follow-up rende questi risultati estremamente preliminari.
I programmi di sorveglianza americani prevedono un Pap test annuale ed un’anoscopia ad alta risoluzione, un esame corrispondente alla colposcopia, con biopsia in caso di anomalie citologiche. Le displasie lievi vengono in genere monitorizzate mentre le displasie medie-gravi vengono trattate. I limiti tecnici di questa metodica, che ne limitano la diffusione su scala mondiale, sono l’inadeguatezza del materiale biologico raccolto mediante spazzolato del canale anale e la scarsa diffusione dell’anoscopia ad alta risoluzione.
La terapia delle displasie gravi prevede un’escissione chirurgica o un’ablazione con Laser. Il trattamento è molto spesso non radicale perché in genere le lesioni sono molto estese e contrariamente alla cervice, l’intera zona di transizione del canale anale non può essere asportata in toto, per il problema delle complicanze cicatriziali stenotiche. In tal caso è prassi comune intensificare il follow-up e sottoporre a biopsia qualsiasi area sospetta.
L’epidemiologia del carcinoma invasivo è già stata esposta nella sezione introduttiva. Caratteristiche peculiari sono l’aumento del rischio in entrambi i sessi ed in tutti i gruppi a rischio per AIDS, con il massimo rischio per la popolazione degli omo-bisessuali, la distribuzione eterogenea nelle varie fasce di età e l’apparente assenza di correlazione con il deficit immunitario di HIV. Nella serie americana di Frisch, l’eccesso di rischio è massimo sotto i 30 anni e si attenua gradualmente dopo i 50 anni (tabella 3).
La terapia del carcinoma invasivo associato ad HIV è stata fino ad oggi simile a quella della popolazione generale e consiste in un trattamento combinato di RT e CT con 5-FU e Mitomicina. La tolleranza alla terapia non è stata però ottimale nel setting HIV ed in particolare nei pazienti con una bassa conta di CD4 (<200/L). La riduzione della “dose-intensity” della terapia, determinata dalla riduzione di dose e/o ritardo di somministrazione specie della CT, per tossicità acuta grave, rende ragione dei risultati deludenti riportati in molte serie. La percentuale di soggetti vivi ad 1-2 anni, con preservazione della funzione anale, oscilla fra il 45 e il 29% vs l’88 e il 71% della popolazione generale. Da questi dati emerge la necessità di attivare in tempi brevi degli studi prospettici con trattamenti standard “adattati” agli HIV-positivi ed in associazione con l’HAART.

EPATOCARCINOMA
L’epatocarcinoma (HCC) è l’ottava neoplasia per incidenza, su scala mondiale ed è anche la più letale fra i tumori maligni, con un indice di mortalità del 94%. Nella popolazione generale è relativamente raro nell’emisfero occidentale ed è più comune nelle zone meridionali dell’Africa, nel Sud Est asiatico, Giappone e nelle isole del Pacifico. 
L’eziologia, la patogenesi e le manifestazioni cliniche variano significativamente nelle varie parti del mondo. La connessione causale fra infezioni virali croniche del fegato da HBV e HCV e sviluppo di carcinoma può considerarsi definitivamente dimostrata, sebbene restino da chiarire alcuni dei possibili meccanismi di tale fenomeno. Su scala mondiale, l’HBV costituisce ancora la più comune causa di HCC, a causa delle frequenti trasmissioni materno-fetale dell’infezione. Al contrario, nei paesi industrializzati la causa più frequente è l’HCV, molto diffuso nei paesi occidentali e contro il quale non esiste ancora alcuna possibilità di vaccinazione. L’alcolismo è, dopo le infezioni virali, l’altra più importante causa di HCC nei paesi industrializzati. La cirrosi epatica, frequente stadio evolutivo delle epatiti croniche virali ed etiliche, gioca un ruolo importante nella cancerogenesi epatica. Nei paesi sviluppati, l’80% degli HCC si sviluppa in fegati cirrotici ed il rischio annuale dei cirrotici HIV-negativi di sviluppare un HCC è stimato nell’ordine dell’1-6%.
I soggetti HIV-positivi sono potenzialmente ad alto rischio di HCC, perché le coinfezioni di HIV con HBV ed HCV sono molto frequenti, in quanto i virus dell’epatite condividono con l’HIV le stesse vie di trasmissione ed inoltre molti dei pazienti HIV-positivi presentano anche una storia di abuso di alcool. In particolare, la coinfezione HIV-HCV si riscontra nel 60-90% degli emofilici e nel 50-80% dei tossicodipendenti, mentre negli omosessuali è compresa solo nel range del 4-8%. Nei casi con coinfezione HIV-HCV si assiste ad una più rapida (entro 10-14 anni) e più frequente progressione cirrotica dell’epatopatia cronica (rischio 2-5 volte maggiore rispetto alla sola infezione con HCV). Inoltre, più avanzato è il deficit immunitario di HIV, più rapida è l’evoluzione in cirrosi. 
I pazienti con coinfezione HIV-HBV presentano un rischio di 3-6 volte maggiore degli HIV-negativi di diventare portatori cronici del virus, ma la successiva degenerazione in cirrosi dell’epatopatia cronica non sembra essere diversa dal quella documentata nella popolazione generale. L’HCC dei soggetti HIV-negativi insorge in genere dopo circa 20 anni dall’infezione dei virus epatitici. Nell’era pre-HAART, la mortalità competitiva indotta dall’HIV ha annullato completamente il rischio di HCC in questa popolazione. Il miglioramento dell’attesa di vita determinato dall’HAART e l’epatotossicità degli antiretrovirali sono destinati ad aumentare l’incidenza dell’HCC nei soggetti infettati dall’HIV. I dati dei recenti studi di linkage nel sud Europa ed in Italia in particolare, ne sono la conferma.
Nel corso del 2002, il GICAT ha stimolato nei suoi centri periferici la raccolta dei casi di HCC diagnosticati nel nostro paese. In pochi mesi sono stati raccolti dati su 22 casi di HCC, di cui il 95% diagnosticati nell’era HAART. Con l’obiettivo di definire le caratteristiche differenziali dell’HCC associato ad HIV rispetto a quello della popolazione generale, Puoti e collaboratori hanno confrontato la casistica GICAT con quella di 384 casi di HCC della popolazione sieronegativa dell’area di Brescia. 
I 22 casi segnalati al GICAT sono tutti di sesso maschile, con un’età mediana di 43 anni, in maggioranza con storia di tossicodipendenza per via endovenosa. L’età mediana è risultata significativamente inferiore a quella dei pazienti HIV-negativi (43 vs 63 anni). L’intervallo di tempo intercorso tra la diagnosi e la prima esposizione parenterale risulta per tutti di 22 anni. Al momento della diagnosi l’86% dei pazienti non aveva presentato AIDS conclamato, presentava una conta di CD4>200/L ed era in terapia HAART con viremia indosabile. La malattia di fegato era avanzata nella maggior parte dei casi (classe B o C secondo Child-Pough 68%) il 77% era HCV-positivo ed il 41% presentava molteplici fattori di rischio per HCC. Rispetto ai casi di Brescia, nei pazienti con infezione da HIV la malattia epatica era più avanzata (classi B, C di Child 68% negli HIV-negativi, p=0.03), i livelli di aminotrasferasi alla diagnosi erano significativamente più elevati e la percentuale di pazienti con infezione da HCV e con molteplici fattori di rischio per HCC era significativamente più elevata. 
Il 54% dei pazienti aveva una diagnosi istologica, la maggior parte di essi (65%) presentava livelli di alfafetoproteina <200 ng/ml, il 41% presentava un nodulo singolo e l’82% presentava un diametro massimo della lesione < 5 cm. Nel 23% dei casi erano presenti metastasi extranodali. I pazienti con infezione da HIV presentavano una percentuale di metastasi significativamente superiore a quella dei pazienti della coorte dei sieronegativi (23% vs 5%, p<0.001). Solo il 41% dei pazienti era stato trattato con terapia chirurgica o con altra terapia locoregionale e solo il 58% dei pazienti era vivo 6 mesi dopo la diagnosi.
Dall’analisi di questi primi dati, estremamente preliminari, possono scaturire solo alcune indicazioni per ulteriori ricerche. L’epatocarcinoma sembra insorgere nel contesto di una malattia di fegato florida e progredita e di una malattia da HIV sostanzialmente sotto controllo. L’invasività locale non sembra particolarmente spiccata, mentre sembra esserci un’elevata tendenza alle metastasi extranodali ed extraepatiche.
Da questi dati emerge comunque la necessità di sottoporre a sorveglianza i pazienti HIV-positivi con cirrosi, in quanto l’identificazione dei casi in classe A di Child, con buon controllo dell’infezione da HIV, potrebbe avere delle ricadute positive in termini di diagnosi precoce e di prognosi a breve termine.

TUMORI DEL POLMONE
Il carcinoma del polmone presenta un eccesso di rischio nei tossicodipendenti HIV-positivi, ma la recente segnalazione di Serraino e collaboratori di un aumento del rischio anche nei tossicodipendenti della popolazione generale, rende il legame di questa neoplasia con l’infezione da HIV estremamente controverso. L’abuso di fumo di tabacco, spesso in associazione con l’abuso di alcool, è il principale cancerogeno coinvolto nella patogenesi delle neoplasie dell’apparato respiratorio e la popolazione HIV-positiva, in particolare quella dei tossicodipendenti, si contraddistingue per l’elevato consumo giornaliero di tabacco.
Nei soggetti HIV-positivi il cancro del polmone tende a manifestarsi in una fascia di età più giovane rispetto alla popolazione generale, con un’età mediana di 38-49 anni vs i 55-65 anni degli HIV-negativi. Come nella popolazione generale della stessa fascia di età, l’istotipo più frequente è l’adenocarcinoma, presente nel 30-100% dei casi. Inoltre nel 55% dei casi, i pazienti si presentano alla diagnosi in fasi avanzate di malattia, quasi sempre in stadio inoperabile. La sopravvivenza mediana degli oltre 150 casi pubblicati in letteratura è compresa nel range di soli 1-4 mesi e la probabilità di sopravvivenza ad 1 anno non supera il 10%. 
La sintomatologia all’esordio (tosse, dolore toracico, emosto, dispnea) è indistinguibile da quella delle più comuni infezioni opportunistiche del polmone. La diagnosi di neoplasia polmonare deve essere sempre considerata nella diagnosi differenziale di malattia, soprattutto quando sono presenti uno o più dei seguenti quadri: lesioni nodulari del parenchima polmonare, adenopatia ilare unilaterale, lisi costale, sindrome di Pancoast, tumefazione dei linfonodi prescalenici, paralisi del nervo frenico e/o del nervo ricorrente e sindromi paraneoplastiche. La diagnosi di neoplasia polmonare richiede un accertamento citologico del broncolavaggio e/o un esame bioptico del materiale ottenuto con metodiche invasive, quali la broncoscopia o l’agobiopsia transtoracica. 
Per i pazienti operabili, con deficit immunitario non severo e/o fattibilità di un HAART, l’infezione da HIV non deve essere considerata una controindicazione alla CH. Per i pazienti con malattia inoperabile/metastatica o con grave compromissione del sistema immunitario, si consiglia una terapia con RT e/o CT con finalità palliativa.

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